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domenica 28 novembre 2010

Benessere a misura di hotel di Marco Beacqua

Come costruire un’offerta spa compatibile con risorse, mercato ed esigenze di ogni struttura

http://www.italianhospitality.org/
Benessere a misura di hotel


In tutti gli alberghi ci sono spazi sottoutilizzati da sfruttare


di Marco Beacqua










Il mondo del wellness sta cambiando. Il dato di fatto è ormai inoppugnabile: una volta circoscritto soprattutto ai grandi hotel in prossimità dei centri termali, il wellness è ormai un servizio che i viaggiatori, sia business sia leisure, si aspettano di trovare praticamente ovunque. «Un ospite», racconta il managing director dello Studio Anshin, Vittorio De Martino, «quando rientra in albergo dopo un’intensa giornata di lavoro, o al termine di una lunga escursione, desidera più di ogni altra cosa rilassarsi: un quarto d’ora in palestra, magari un po’ di sauna e un tuffo in piscina. Se poi è disponibile pure un massaggio, tanto meglio». Ecco quindi la necessità, anche per strutture di medie dimensioni, di dotarsi almeno di un piccolo spazio benessere.


Domanda. Come fare, però, a rendere redditizi tali spazi?


Risposta. Progettando una proposta compatibile con le proprie risorse. Troppe volte, infatti, mi capita di trovare palestre realizzate in enormi saloni, piene di macchine tanto sofisticate quanto costose e quasi mai utilizzate dagli ospiti. Meglio, invece, concentrarsi su qualcosa di un po’ più piccolo ma di veramente utile per la propria clientela. In tutti gli hotel di almeno 100 camere, tra l’altro, ci sono sempre degli spazi sottoutilizzati, che potrebbero benissimo fare al caso di chi vuole creare un’offerta benessere senza strafare: 50 metri quadrati, per esempio, sono sufficienti a ospitare un bagno turco, due lettini per i trattamenti e un tapis roulant.


D. Tutto semplice, quindi?


R. Non proprio. Bisogna anche sapersi ingegnare: trovare sempre qualcosa che renda la propria offerta unica.


D. Come, per esempio?


R. All’epoca in cui ero responsabile dell’operatività del Crowne Plaza St.Peter’s di Roma, avevo creato un sistema per sfruttare gli spazi wellness anche di sera. La night spa era un’offerta speciale dedicata a chi voleva celebrare, in un ambiente suggestivo, una festa o un momento particolare: a bordo della piscina calda, con le candele accese, un servizio di finger food e, volendo, trattamenti per tutti. L’idea ebbe tanto successo che venne ben presto copiata anche da altre strutture.


D. Non si può mai smettere di pensare a qualcosa di nuovo, quindi?


R. Assolutamente no. Anche perché, quasi ogni anno, arriva qualche novità potenzialmente capace di avere un effetto dirompente sul settore. Basti pensare al pilates: cinque anni fa era una tecnica che non conosceva praticamente nessuno. Oggi è diventata quasi scontata.


D. Anche di trattamenti ne sorgono ogni giorno di nuovi: al miele, al vino, al caviale...


R. A queste novità, sinceramente, credo un po’ di meno. A parte qualche trattamento tradizionale di comprovata efficacia, li considero quasi sempre fenomeni modaioli dagli scarsi effetti pratici e spesso anche poco richiesti dalla stessa clientela. Li si inserisce nei propri menu benessere perché non averli è controproducente dal punto di vista dell’immagine. Ma i massaggi veri sono un’altra cosa.


D. E i macchinari?


R. Lì il discorso è diverso. Le apparecchiature più avanzate fanno davvero la differenza. Solo che si tratta di investimenti non indifferenti e perciò occorre capire quali macchinari siano davvero necessari e richiesti dal pubblico.


D. E come si fa?


R. Non è un compito facile, soprattutto considerando la frequenza con cui vengono lanciate le novità. Occorre informarsi costantemente. Rimanere sempre aggiornati. E poi serve un po’ di intuito. Come quando, sempre al St.Peter’s, ho deciso di acquistare un’apparecchiatura Power Plate.


D. Di cosa si tratta?


R. Di una pedana vibrante che sfrutta la risposta naturale del corpo alle vibrazioni, per allenare tutti i muscoli del corpo. È un concetto davvero rivoluzionario. È però impensabile inserire una tariffa ad hoc per una decina di minuti trascorsi su una pedana. Mi apparve perciò fin da subito chiaro che lo strumento era acquistabile solo se in grado di dare del vero valore aggiunto alla qualità della nostra offerta wellness.


D. E come è andata?


R. Lascio parlare i fatti: dopo solo un anno dal suo lancio al St.Peter’s, ben altre sei strutture capitoline se ne erano dotate. Meglio di così...











Lo Studio Anshin






Quarant´anni di esperienza nel management alberghiero, di cui gli ultimi 17 trascorsi nel gruppo alberghiero Hotel-Invest Italiana (proprietario, tra l´altro, del St.Peter’s) con vari incarichi, tra cui quello attuale di direttore sviluppo e relazioni esterne, Vittorio De Martino è anche il fondatore, insieme al maestro shiatsu (Japan Shiatsu College Tokyo) ed esperto in discipline bio-naturali, Paolo Angeli, dello Studio Anshin: una società di consulenza, specializzata nella gestione di centri benessere, spa e spazi dedicati al wellness e al well-being in alberghi, villaggi turistici, navi da crociera e aziende.


«Una delle nostre ultime novità», spiega De Martino, «sono i Wellness corner: un pacchetto chiavi in mano, che consente di trasformare gli ambienti sottoutilizzati degli hotel in spazi benessere funzionali e redditizi senza alcun costo aggiuntivo per la struttura. In cambio dell´affitto della superficie, in particolare, riconosciamo all´hotel una percentuale del 10% sugli incassi, fatta salva una franchigia sui primi 100 mila euro di fatturato annuo e sull´intero primo anno di attività».









mercoledì 17 novembre 2010

L'Odissea del Maestro Pino Nacci all'Aeroporto di Charleroi in Belgio di Enzo Giordano

Cari amici, desidero raccontarVi l'Odissea del ns caro amico e stimato collega Pino Nacci che si è consumata ieri all'Aeroporto di Charleroi in Belgio il 17.11.c.a. ove si era recato dopo una notte insonne partendo dal Terminale di Bruxelles alle ore 04.45 con un Bus della compagnia BRUSELS CITY SHUTTLE e diretto a Gosselies ove si trova il citato Aeroporto, in attesa di imbarcarsi su un volo della Compagnia Leader nei voli LOW COST RYANAIR in partenza alle ore 06.20 e diretto a ROMA CIAMPINO.
     Ebbene, l'inconsueta folla a quell'ora e la meticolosità dei nuovi controlli su scala mondiale per misure di sicurezza prima del volo con tutti i passaggeri in partenza, ha creato un ingorgo ed un rallentamento nelle procedure (anche per disorganizzazione interno e carenza di organico)che ha fatto si che il ns amico nonostante avesse superato i controlli e si traovasse già pronto per l'imbarco, abbia dovuto anche imbattersi con l'eccessiva fiscalità di una Hostess che ha impedito per un minuto di fare imbarcare il passeggero che nonostante le sue insistenze, ha perso il volo. Il Maestro Nacci era atteso a Napoli all'interno della Fiera ove si svolge in atto L'EXPO SUD e l'Associazione ITALIAN HOSPITALITY è presente con uno STAND. Ribadisco che il Sig. Nacci oltre ad essere ANASCIORE del Belgio per suddetta Associazione ne è anche VICE PRESIDENTE. A Napoli oltre a relazionare sui propositi dell'associazione per il 2011 avrebbe dovuto esibirsi assieme ad altri professionisti per allestire una degustazione in seno alla Fiera e poi aveva incontri importanti con colleghi di altre Ambasciate Italiane che si erano spostati per incontrarlo. Ebbene, i tutto è sfumato per la rigidità assurda di una impiegata che non ha avuto alcuna solerzia nel far si che il cliente partisse anche perchè l'aesreo ancora nnon aveva nemmeno ritirato la scala ed acceso i motori... L'associazione e tanti amici hanno dovuto cambiare i programmi e Pino Nacci non trovava voli successivi compatibili con gli impegni in scaletta. La mia riflessione su un fatto del genere è molto dura... se tutto ciò sarebbe accaduto nella ns Italia, ne avrebbero già parlato i Media, quindi io Vi allego la cronistoria analitica dalla partenza alla rinuncia, pregando l'amico Pino di fare avere opia del seguente testo a qualche giornale belga e sto inviando il medesimo testo alla compagnia Aerea la quale dovrà almeno scusarsi col caro collega per quanto accaduto anche se ritengo il danno parta dalla struttura aeroportuale, Troverete in allegato sequenza descritta.
     Che dire, W l'Italia... penso che in una struttura aeroportuale italiana il Signor Nacci avrebbe trovato più fortuna ed elasticità.







mercoledì 3 novembre 2010

SIAMO ALLE SOLITE di Enzo Giordano

Cari amici,



oggi mi occupo di rendere noto un articolo molto importante che Informacibo ha pubblicato su questo link: http://www.informacibo.it/a/ciccardini-dardanello-ristoranti-italiani-nel-mondo.htm.  Forte anche di ciò oso affermare che ITALIAN HOSPITALITY si muoverà affinchè venga recepito l'imput del MANGIARE SANO specialmente attraverso i canali istituzionali, sovente assenti. Copia di ciò è stata inviata dal sottoscritto al Ministro del TURISMO Michela Vittoria Brambilla, unitamente ad un Dossier analitico circa le intenzioni della ns Associazione che mira alla Certificazione di Qualità in Italia e nel Mondo.
Cordialità...
Enzo Giordano
Responsabile Nazionale Rapporti
con le Aziende Alberghiere
http://www.italianhospitality.org/


La certificazione dei Ristoranti italiani nel mondo:


una lettera di Bartolo Ciccardini


“Necessità strategica di una Rete di distribuzione dei prodotti alimentari italiani”










Parma 29 ottobre 2010. Continua a far discutere la certificazione dei Ristoranti italiani nel mondo che è stato dibattuto durante la XIX Convention mondiale delle Camere di commercio italiane all’estero (CCIE) svoltasi a Parma la settimana scorsa (leggere Urso e Dardanello: entro Natale mille ristoranti certificati made in italy nel Mondo).






Ora ci ha scritto Bartolo Ciccardini, Presidente dimissionario di Ciao Italia e già Vice-Presidente della Commissione ministeriale per la Ristorazione italiana nel mondo, tirato in ballo da INformaCIBO con una domanda rivolta a Ferruccio Dardanello, Presidente di Unioncamere e a Adolfo Urso, Viceministro allo sviluppo economico sulle motivazioni che hanno portato allo scioglimento della Commissione ministeriale.






Nella lettera, Ciccardini parla di Ciao Italia ma innanzitutto mette sotto accusa la cecità dei decisori politici e delle associazioni dei produttori (Coltivatori Diretti e Confagricoltura), senza risparmiare il ministro alle politiche agricole, Galan, sulla “Necessità strategica di creare una Rete di distribuzione dei prodotti alimentari italiani”.






Ferruccio Dardanello durante la conferenza stampa a Parma, rispondendo ad una domanda di InformaCIBO, aveva riconosciuto il lavoro a suo tempo svolto da Ciao Italia e Ciccardini e non aveva escluso la possibilità di un recupero della tradizione e della presenza dell’Associazione. Ora Ciccardini, proprio a partire da questo riconoscimento, rilancia la sua proposta per dare un senso “strategico” ai ristoranti italiani all'estero e alla diffusione dei prodotti made in Italy.


Un lavoro che va oltre il semplice bollino di certificazione.










Ma lasciamo qui sotto la parola a Bartolo Ciccardini






(…..........................)


“Quale è la realtà associativa di Ciao Italia in questo momento?


Non v’ha dubbio che l’esperienza storica della prima Ciao Italia è un fatto compiuto. Ciao Italia ha saputo dare, in un momento strategico, la coscienza di poter fare di più. Con la scuola e con l’esempio e con una politica di riconoscimenti, ha convinto i ristoratori che era possibile passare dalla trattoria familiare al Ristorante di qualità, sfidando addirittura la concorrenza del temutissimo ristorante francese.


Negli anni ’90 questa politica si è naturalmente esaurita. Ciao Italia ha proposto una nuova politica: quella della Rete italiana di distribuzione e di presenza del prodotto italiano. Quello di cui non si vuol prendere atto, nella politica italiana, è proprio questo: una produzione di altissimo pregio, realizzata da aziende piccole e medie che non hanno la forza di affrontare il mercato ha bisogno di una sua Rete di distribuzione, per non finire in mano alle multinazionali o alle reti di distribuzione straniere, che potrebbero condizionarne la strategia.


La costruzione di questa Rete è strategicamente necessaria. Fu proclamata obiettivo strategico del Ministero dell’Agricoltura alla fine degli anni ’80. Questo obiettivo è stato dimenticato nell’ultimo decennio. La Rete di distribuzione italiana potenzialmente esiste. Cinquantamila ristoranti che sono o che cercano di essere italiani e cinquemila fra essi che raggiungono la eccellenza, sono una Rete potenziale.






Di che cosa c’è bisogno perché diventino una Rete reale ed efficiente?


C’è bisogno di una politica di incentivi e di programmi per promuovere cooperative d’acquisto, magazzini consortili, rapporti commerciali fra consorzi di produttori e consorzi di ristoratori-distributori, promozione di angoli di vendita presso ristoranti o vicino a ristoranti italiani di qualità, una cointeressenza degli uni e degli altri alle imprese di trasporto, liberate dalla mafia.


La Ristorazione italiana ha creato una classe di imprenditori che ha importanti relazioni pubbliche con le autorità locali, che ha competenza del mercato, che conosce la lingua e le leggi del paese ospitante, che dispone di commercialisti, avvocati, rapporti bancari e quant’altro per creare una Rete di distribuzione.






Cosa manca alla Ristorazione Italiana?


Lo spirito di collaborazione, la capacità di lavorare in squadra, la fiducia e la stima reciproca. Su questi difetti una sana politica può agire con successo.


Il piano proposto da Ciao Italia era semplice: reperimento e riconoscimento dei 5000 eccellenti; parificazione delle aziende della ristorazione all’estero alle aziende italiane; incentivi alle piccole aziende produttrici, ai consorzi ed alle cooperative dei ristoratori da costituire.


Non mi trattengo sui tentativi operati dopo il 2000, perché non rientrano in questo quadro e ci porterebbero lontano.


La maggior colpa è quella delle Associazioni dei produttori (Coltivatori Diretti e Confagricoltura). Avendo perduto l’antica primogenitura politica, di cui erano orgogliosi nella prima repubblica, hanno affidato i loro interessi prima al ceto dei commercianti, che detiene il potere delle Camere di Commercio, ed ora agli operatori turistici che hanno proposto il bollino della Ospitalità.


Gli uni e gli altri sono meritevoli nelle loro iniziative. Ma non sono in grado, per la loro struttura ideologica di intermediazione, di interpretare la politica del prodotto agricolo italiano all’estero attraverso la ristorazione senza allontanarsi dal concetto chiarissimo di: “Necessità strategica di una Rete di distribuzione dei prodotti alimentari italiani”. Il silenzio del Ministro Galan su questo tema è assordante. Dal 1992 al 2009 è esistita presso il Ministero dell’Agricoltura una commissione che, in fasi diverse, si occupava della ristorazione e della strategia per la promozione dei prodotti agricoli italiani all’estero. È stata sciolta.






Può servire ancora Ciao Italia?


All’estero non ci sono altre strutture e sigle che questa, anche se punita ed esangue. Io sono dimissionario per protesta, non potendo altrimenti testimoniare l’errore strategico che si compie. Ciao Italia può tranquillamente morire. Ha svolto il suo compito più importante nel creare l’ “italian pride” del cibo. La necessità urgente non è salvare Ciao Italia, ma riprendere in mano la proposta di Ciao Italia: una strategia politica della Rete di distribuzione italiana”.


Bartolo Ciccardini